La ricerca in
Valle Scrivia

di Maria Teresa Caprile e Stefania Notarnicola



Descrizione dei dati raccolti e risultati

La ricerca di terreno si è svolta tra maggio 2000 e febbraio 2001, e ha coperto le località comprese nei comuni di Crocefieschi, Montoggio, Valbrevenna e Vobbia.
Sono state raccolte 360 schede relative a prodotti e piatti, e 142 di cultivar ortofrutticole, per un totale di 502 record.
Come già nella precedente tranche sul Ponente Genovese, le curatrici non appartengono alla locale rete di relazioni, per cui è stato necessario introdursi nell'ambiente con una serie di passaggi a volte difficoltosi, e misurarsi con le inevitabili asimmetrie di rapporto tra intervistatore e intervistato che naturalmente si verificano in questi casi. Spesso sono stati ascoltati testimoni che, grazie all'attività svolta (produttori o ristoratori), si sono dimostrati più aperti e disponibili (quando non addirittura entusiasti) nell' offrire la loro collaborazione; più problematico è stato coinvolgere informatori "privati", anziani o pensionati, estranei al circuito produttivo, che si sono rivelati non tanto diffidenti quanto scettici, disillusi circa la possibilità che "si possa fare davvero qualcosa per i nostri monti" o non disponibili a rendere la loro testimonianza (e a ricordare una storia, un passato, spesso fatto di miseria: "C'era la fame, sa, e che fame!"). A volte è stata necessario ricorrere ad un "mediatore" locale, nella parte di presenza conosciuta e rassicurante, per superare l'imbarazzo e la perplessità di alcuni testimoni.


Chi? Ovvero gli intervistati

La ricerca di terreno ha coinvolto un numero complessivo di 40 informatori.
Questi, come già detto precedentemente, sono stati scelti considerando la loro rappresentatività rispetto al territorio di appartenenza.
Nella tabella seguente si riporta la distribuzione (frequenza) degli intervistati, in base al loro domicilio.

Tab. 1 - Testimoni per comune di appartenenza

Comune

Frequenza
Crocefieschi 6
Montoggio 16
Valbrevenna 8
Vobbia 10
Totale testimoni 40

Tab. 2 - Produttori intervistati per comune di appartenenza

Comune

Frequenza
Crocefieschi
1
Montoggio
3
Valbrevenna
2
Vobbia
2
Totale
8

Tab. 3 - Ristoratori intervistati per comune di appartenenza

Comune

Frequenza
Crocefieschi
1
Montoggio
5
Valbrevenna
3
Vobbia
3
Totale
12

La ricerca ha fatto ricorso a interlocutori capaci di fornire informazioni anche sulle pratiche meno diffuse od ormai scomparse nell'area indagata: solo otto testimoni hanno infatti meno di quarant'anni.
Osservando la tabella, che suddivide in classi di età i testimoni, si osserva che la classe più rappresentata è quella dei soggetti tra i 71 e i 62 anni (12 soggetti), seguita da quella degli intervistati con età tra i 72 e gli 82 anni (8 soggetti).
E' da rilevare che le classi intermedie sono comunque rappresentate da un sufficiente numero di soggetti, interessanti per la loro scelta professionale (nel campo delle coltivazioni biologiche, dell'agriturismo e della ristorazione) e per la loro appartenenza alla realtà locale, in quanto residenti e soprattutto attivatori di risorse locali.

Tab. 4 - Intervistati per classe d'età

Anno di nascita

Età
Frequenza
Prima del 1920
Più di 81
2
1920-1929
72-81
8
1930-1939
62-71
12
1940-1949
52-61
5
1950-1959
42-51
4
1960-1969
32-41
6
1970-1979
22-31
2
1980-1989
12-21
1

Totale
40

Infine, il gruppo di testimoni utilizzato nello studio, rappresenta, in modo equilibrato, sia il mondo femminile che quello maschile.

Viene riportata in tabella la frequenza dei testimoni distinti per sesso.

Tab. 5 - Testimoni per genere

Intervistati

Frequenza
Uomini
21
Donne
19
Totale
40

1.2 Che cosa?.... ovvero i prodotti e i piatti

Per la categoria prodotto/piatto sono stati registrati un totale di 360 records.
In tabella si riporta la distribuzione in classi dei prodotti/piatti, con la relativa frequenza.

Tab. 6 - Prodotti e piatti per classe di appartenenza

CLASSE

Frequenza (numero)
Biscotti
4
caglie e lieviti
1
condimenti
46
conserve
5
decotti
4
insaccati
7
latticini
5
liquori e sciroppi
8
miele
1
olio
1
pane
8
unguento
1
vino e fermentati
6
carni e frattaglie
58
castagne
5
dolci
45
focacce
14
fungo
1
minestre in brodo
22
pasta fresca
39
pesci
9
polenta
11
riso
6
torte salate
14
uova e fritture
18
verdure
21
TOTALE RICETTE
360

Le classi di prodotti/piatti che presentano la maggiore frequenza sono le carni e frattaglie (58 ricette), i condimenti (46) seguiti dai dolci (45) e dalla pasta fresca (39), minestre in brodo (22), uova e frittura (18), torte salate (14).
Altre classi come i latticini (formaggetta di latte vaccino e di latte misto vaccino e caprino) gli insaccati (mostardella e testa in cassetta), il vino e i fermentati (vino e sidro) e gli sciroppi hanno frequenze minori in quanto ormai rientrano in quelle categorie di prodotti la cui pratica si è quasi estinta.
Per la descrizione dettagliata si rimanda al database.

Che cosa?... Ovvero le cultivar

Le cultivar registrate sono in totale 142 e così suddivise nei seguenti gruppi

Tab. 7 - Occorrenze e varietà colturali rilevate

gruppo

Occorrenze
Varietà
cicoria
1
1
ciliegia
3
3
castagne
16
11
cavolo
3
3
fungo
10
10
fagiolino
1
1
mela
48
10
patata
5
3
pera
23
14
pesca
2
1
pomodoro
1
1
prugna
16
6
rosa
2
1
uva
8
4
zucchino
3
2
TOTALE
142


Tab. 8 - Categorie colturali

Categoria

Frequenza
Arboree
118
Fungo
10
Orticole
14
TOTALE
142

Le specie più rappresentate sono quelle arboree: stupisce la varietà di cultivar presenti sul territorio investigato.
Si evidenzia che la Valle Scrivia in passato basava la sua attività agricola sulla coltivazione frutticola ed in particolare quella delle mele.
"Tempo di mele, tempo di castagne, tempo di carbone". Questa frase detta da Ugo Rebosio (Crosi, Valbrevenna) per affermare i periodi in cui maggiormente venivano utilizzati i sentieri, evidenzia anche le principali attività economiche che caratterizzavano la valle: la produzione di mele, di castagne e di carbone.

A testimonianza di ciò, nell'ambito dello studio per il Conservatorio delle Cucine Mediterranee, si sono individuate molte delle varietà che un tempo caratterizzavano il paesaggio agrario.
La regina delle mele è la Teresa, la renetta per eccellenza, seguita dalla Cabelotta, dalla Battagliona, dalla Carla e dalla mela di Milano.
Si riporta in modo sintetico la descrizione delle mele individuate sul territorio indagato.

Tab. 9 - Cultivar di mela

Nome cultivar
(nome vernacolare)

Descrizione
Mela
Teresa
Mela appiattita, di colore giallino pallido e mascherina rosso aranciato sul lato in cui è esposta al sole, con leggera rugginosità. Dolce ed aromatica, è la renetta per eccellenza.

Carla
Mela di forma rotonteggiante (tronco conica corta), di medie dimensioni e di colore dominante giallo -verde con maschera rossa.

di Milan
Dimensioni medio grosse, hanno le maschere rosse. Dolce succosa, si vendevano per il consumo fresco.

Cannellinn-a
dolci, piccole forma allungata, Di colore giallo pallido. Polpa color crema, tenera e di polpa medio-fine, farinosa.

Battagliunn-a
mela di grandi dimensioni. Maturano a Pasqua (tardi). La polpa è di colore gialla, consistenza tenera. Succose e farinose come le banane. Epicarpo di colore verde. Si facevano maturare sulla paglia. Si raccoglievano dalla pianta dopo i santi e si ponevano sulla paglia in soffitta a maturare. Erano le ultime mele che si raccoglievano. Sono leggermente allungate.

Cabelotta
sono di forma rotonda, con maschera rossa, fanno l'olio, diventano unte. Dolci e non farinose, succose

Gianchetta
bianche, rotonde, non tanto grosse ma gustose

Garbuçinn-a
mela presente in Valbrevenna, utilizzata per il "vin de meia"

Pomella
di media grandezza, dure e sugose e dolci: rosse e verdi.

Selvatica di Casella
abbastanza grosse, buone e presenti da fine aprile a giugno (fine maggio), utilizzate per il "vin de meia"

Setronina
rosse da un lato, dolci e di polpa gialla

La produzione di mele era indirizzata sia per il consumo fresco, raggiungendo il mercato di Genova e del vicino Piemonte, sia per la trasformazione. Le "mele da sacco" quelle cioè di seconda scelta, si vendevano per essere trasformate in "alcool" (forse sidro) da una ditta che si trovava a S. Giulietta in Piemonte (nei pressi di Tortona). Comunque con le mele di seconda scelta gli stessi agricoltori erano soliti preparare surrogati del vino, il "vin de meia" (sidro) e la "vinetta" (con mele e raspi di uva).
Inoltre dal sidro, produceva un ottimo aceto di mele' che a detta di Maria Luisa di Serrato era sicuramente più buono del "vin de meia".

Tra le pere spiccano quelle "da inverno", così chiamate perché erano tra le più tardive, e quelle "da estate". Alcuni usavano anche le pere per fare il sidro ed in particolare quelle che chiamano "negrè" (diventano nere nella polpa, quando mature).
Per la descrizione si rimanda al data base.

Pera

Ciappecuglion

di S. Sebastiano

Damma

Da estate

Da Inverno

dell'Armella

Spadona, Spadunn-a

du Bertumè

di S.Anna

Russetta

Negrè

Kaiser

Paradiso

Durango

Le Arselline e le Franchine sono le prugne maggiormente rappresentative.

Prugna

Arselinn-a

Franchin

Erbenn-a

E' inoltre da menzionare un vitigno che localmente viene chiamato "nebbio da u peigullo rosso", che era presente sui versanti meglio esposti del territorio, Montoggio e Clavarezza. Purtroppo, viste le condizioni, questo vitigno aveva difficoltà a maturare, non riuscendo a raggiungere una soddisfacente percentuale di zuccheri. Per tale motivo il vino rimaneva aspro e si conservava con difficoltà. Alcuni effettuavano un uvaggio con mosto proveniente dal Piemonte proprio con lo scopo di aumentare il grado zuccherino.
Da un'analisi approssimativa il vitigno definito localmente "nebbio", potrebbe essere un dolcetto che si è selezionato in zona.

L'età media degli operatori agricoli si aggira sui sessant'anni (vedi tabella dei testimoni). Chi svolge tuttora attività agricola, lo fa a tempo parziale, e soprattutto per passione.
Comunque attualmente, alcune realtà produttive agricole, nell'ambito dell'agriturismo, dell'agricoltura biologica applicata alla coltivazione di varietà locali e il loro recupero anche dal punto di vista economico, stanno emergendo ad opera di giovani imprenditori.


La ristorazione: elementi di criticità e segnali di ripresa

La ricerca ha posto in evidenza una "involuzione in atto" per quanto riguarda l'offerta nel campo della ristorazione: le trattorie e le osterie, anche quelle che sono state condotte dalla stessa famiglia nel corso di più generazioni, spesso chiudono, a volte perché si interrompe il "passamano" tra genitori e figli (che preferiscono un altro mestiere, magari in città), altre volte per obiettiva impossibilità di proseguire l'attività (scarsità di clientela nei mesi invernali, preferenza accordata dagli avventori a ristoranti del fondovalle, più facilmente raggiungibili, spese - e tasse - che superano le entrate, anzianità del conduttore).
C'è anche il caso di chi mantiene l'attività, ma la sposta in un altro comune, con minori costi di approvvigionamento e maggior vicinanza alla città (quindi più raggiungibile da un pubblico potenzialmente più vasto). La clientela di queste osterie è spesso la stessa da anni, anche se incrementata in modo significativo dal "passaparola": in particolare si tratta di cacciatori ed escursionisti, altri sono stati frequentatori in gioventù e ora portano anche le loro famiglie, ma in generale i venti-trent'enni, per esempio, preferiscono le pizzerie.
Per alcune attività che passano di mano e vengono gestite da titolari giovani (la trattoria-pizzeria "Saisoletti" a Creto, per esempio), ce ne sono assai di più che chiudono i battenti (specialmente nelle frazioni del comune di Valbrevenna)[1] o che si trasferiscono, cosa che, per l'economia locale, ha lo stesso significato (è il caso della trattoria "A Ca' du Giancu" a Porcile, in Valbrevenna): l'ennesimo paese resta "scoperto" quanto ad attività produttive e ricettive, esponendosi al rischio dello spopolamento e della frequentazione esclusivamente stagionale (numerose sono le seconde case in tutti e quattro i comuni oggetto d'indagine).
A Pareto resiste la trattoria "Da Nin", il cui nuovo proprietario l'ha rilevata nel 1999: egli testimonia che è duro riuscire a passare l'inverno, con gli scarsi avventori di tutti i giorni e certe domeniche in cui non vede un "furestu": "Quest'anno tengo ancora aperto, il prossimo non lo so, pensi che qui, fino ai primi anni '80, le trattorie erano due, c'era il negozio di alimentari, il forno...".
La situazione a fondovalle e nella frazione di Creto è sicuramente migliore: in quest'ultimo caso giova la vicinanza a Genova (sono 15-20 minuti in macchina, ma si può anche prendere l'autobus)[2], e la rinomanza delle due trattorie storiche, "Saisoletti" e la "Locanda dei Cacciatori"; nel primo caso gioca sicuramente a favore la maggior accessibilità rispetto a località più isolate dove occorre guidare su strade dissestate o interessate da frane e smottamenti di varia entità nella ormai lunga e piovosissima stagione autunnale.
Da segnalare l'energia e l'intelligente gestione che caratterizza spesso queste imprese: dal ristorante "Alfredo" in località Bromia (Montoggio) - frequentato fin dal primo Novecento e noto per l'esperienza ed energia della titolare - alla trattoria "Antola" di Molino Vecchio (Valbrevenna), i cui tre soci, oltre a riproporre interessanti ricette locali, si distinguono per inventiva e formulazione di progetti (valga per tutti l'idea di riservare un locale, collegato all'Ente Parco, ad accoglienza e riparo, usufruibile 24 ore su 24, con possibilità di cucina, alloggio notturno e punto di riferimento per le emergenze).
A Tre Fontane (Montoggio) è fortunatamente ben operativa la storica trattoria "Rosin", più che centenaria; ricordiamo però che è l'unica rimasta in quella frazione, e che nella vicina Acquafredda non ne rimane nessuna (l'osteria "Assuntìn" ha chiuso nel 1978 e la proprietaria è deceduta da alcuni anni, così che non si è potuto nemmeno registrare la memoria delle sue ricette: il figlio, intervistato, ne ricordava solo alcune).
A Nenno di Valbrevenna, dal 1995 è stata rilevata la vecchia "osteria con cucina" (presente dai primi del Novecento) da parte di un giovane imprenditore, che nel suo "Il Caminetto" offre una cucina in cui dosa sapientemente prodotti e tradizioni locali con le più moderne esigenze del palato: basta pensare alle interessanti rivisitazioni sui temi della carne di maiale e delle castagne. Il "Mulino delle trote" a Vobbia, località Mulino Cascè, si è attrezzato anche per fornire servizio mensa, due volte la settimana, agli alunni della scuola elementare comunale.


Le nuove iniziative

Ci sono, in un quadro generale certo non confortante, anche segnali di ripresa e di iniziative considerevoli, purtroppo ancora sporadiche e legate al coraggio dei singoli imprenditori, e che per questo meritano una menzione particolare:

nel Comune di Crocefieschi
nel comune di Montoggio
nel Comune di Valbrevenna
nel comune di Vobbia

Una Guida alla scoperta dei prodotti locali[3] pubblicata a dicembre 2000 segnala produttori e ristoratori di questa porzione della Valle Scrivia, quale seguito del progetto "Rete di mercato locale" promosso dall'Ente Parco regionale dell'Antola.
Questa prima organizzazione tra produttori e ristoratori delle alte valli Scrivia e Trebbia, ancora in fase di sperimentazione nel suo funzionamento economico e istituzionale, è certo la condizione per garantire la specificità dei prodotti locali e la continuità della conduzione aziendale.


Il castagneto: ruolo e permanenze

Caratteristica comune nell'area presa in esame era la presenza, come fattore di sussistenza imprescindibile, del castagneto: la scomparsa della coltura del castagno si configura proprio come uno dei cambiamenti più radicali subiti dall'area, e un vero spartiacque tra due epoche, tra le generazioni del "durante" e quelle del "dopo". Tale coltura ha lasciato tracce ancora ben leggibili nel lessico, nel territorio e nell'alimentazione degli informatori più anziani, ma si tratta, appunto, di sopravvivenze: gli essiccatoi giacciono come relitti in castagneti da frutto che quasi nessuno cura più (diminuiscono ogni anno le famiglie che fanno seccare le castagne, fino al secondo dopoguerra attività di primaria importanza), i mulini, che macinavano soprattutto castagne, ceci, granturco, sono in disuso da decenni, crollano o finiscono con l'essere trasformati, avendo perso la loro funzione.
Nell'alimentazione, piatti di consumo abituale come le castagne grasse, contenenti fra l'altro cotiche di maiale, sono sconosciuti ai più giovani: era una ricetta robusta per chi manteneva se stesso e la propria famiglia con i lavori faticosi che la terra e la gestione degli animali comportava, e doveva superare inverni più rigidi e nevosi dei nostri in case mal riscaldate. L'uso delle castagne in cucina, fino agli anni '50, e in qualche caso anche oltre, prevedeva la pasta fresca fatta con farina di castagna (faina neigra) mista (in proporzioni che andavano dalla parità al di poco superiore) a farina di grano (faina gianca), il castagnaccio, le rustie (castagne arrostite nella padella coi buchi), le castagne bollite, le minestre con castagne, e l'onnipresente riso-castagne-e-latte.
Non a caso, per quanto riguarda la presente ricerca, su 352 ricette trascritte, le castagne sono presenti 44 volte, sia come frutti che come farina, e ogni informatore nato almeno durante la seconda guerra mondiale ne conserva la memoria. La castagna era il frutto povero di boschi di montagna, che oggigiorno i nostri palati esigenti e raffinati amano magari in versione "ricca", come "marron glacè", o in confetture (per non parlare del miele di castagno, oggi usato come dolcificante: una volta il miele era un ingrediente della farmacopea, usato nelle infiammazioni del cavo orale).
Certo sono interessanti questi usi contemporanei che rivisitano un frutto tanto antico, e che potrebbero magari, anche qui, rivitalizzarne il consumo, ma non va dimenticato che, ancora in tempi recenti, il castagno era "l'albero " per eccellenza (lo attestano i dialetti), generoso e fondamentale per la sopravvivenza delle generazioni che si sono susseguite nella cura dei boschi di montagna: vi si ricavavano frutti, legname (per costruire e per scaldarsi), tannino (si estraeva dalla corteccia), lettiera per gli animali (dalle foglie cadute, che poi, tolte dalle stalle, servivano per concimare i campi).
Quello che si sta perdendo con l'abbandono della coltura del castagno è un intero patrimonio storico: l'efficace gestione e l'utilizzo del castagneto da frutto era anche un modo intelligente e lungimirante di utilizzare le risorse del territorio, poichè la "cultura del castagno" comportava, oltre alla possibilità di sfamarsi, la manutenzione di una rete di sentieri e mulattiere che attraversava boschi e versanti, impediva alla terra di franare a valle e ai corsi d'acqua di riempirsi all'improvviso, e la gravità degli incendi (piaga della nostra regione) era limitata dalla vigilanza dell'uomo (non dimentichiamo che esistevano pratiche di fuoco controllato, oggi osteggiate dalla legislazione). In un tale panorama, il contadino presidiava la terra da cui ricavava sostentamento, e il sistema funzionava in modo tale che le risorse non andavano sprecate ed erano rinnovabili.
La crisi del mondo rurale e l'esodo dalle campagne e dalla montagna hanno fatto cadere, in modo praticamente irrimediabile, le funzioni storiche dei castagneti da frutto: ma se ieri prevalevano le funzioni produttive, oggi si potrebbero rivalutare almeno quelle ambientali. Il castagno è utilissimo per combattere i problemi di erosione del suolo, ed essendo una delle piante a più rapido accrescimento, per di più dotato di mole considerevole, si qualifica anche come efficace filtro naturale, come ottimale depuratore dell'aria inquinata, altra croce del nostro tempo.


Permanenze, residui, sopravvivenze

Le realtà incontrate nel corso dell'indagine, prima fra tutte quella appena descritta, sono dunque residui, sopravvivenze di modi di vivere e operare sul territorio che sono state dominanti e condivise dalla popolazione locale: sono tutte presenze marginali (che contengono prodotti di nicchia e pratiche in via di estinzione), ma significative, se non dal punto di vista economico, certamente da quello dell'identità, del collocarsi in una storia comune, dell'appartenza ad un territorio con una sua identità, plasmato dal lavoro comune di generazioni di uomini. E' per questa ragione che, nel corso delle interviste, è stato dato spazio a tutte le informazioni, attribuendo pari validità sia alle ricette tuttora preparate (quotidianamente o nei giorni di festa, ma questa distinzione è, nel nostro tempo, sempre più sfumata) sia a quelle ricostruite sulla base dei ricordi personali dell'informatore (risalenti magari alla sua prima giovinezza), anche se queste ultime erano inevitabilmente più imprecise e lacunose: ciò che conta, infatti, è registrare la memoria dell'esperienza locale così come è sopravvissuta nella mente dell'informatore, con tutte le sue deformazioni, utili però a ricostruire il quadro di una società in un certo contesto storico.
Sempre sulle informazioni raccolte, è interessante rilevare, nel paese di Crocefieschi, l'esistenza dei corzetti, i dischetti di pasta stampata con appositi strumenti in legno, nei quali i disegni differivano di famiglia in famiglia, e già segnalati nel corso delle ricerche effettuate nel 1999 nella Valle di Recco.


Variabilità e ricchezza delle culture locali

Ancora una volta è stata messa in evidenza la ricchezza, in termini di variabilità, delle ricette locali: 18 versioni di pesto, 5 di salsa di noci, 8 modi di preparare il cinghiale e 17 piatti a base di funghi (sia i pregiati porcini che le varietà locali: i masin-ni, i sementìn...), tanto per fare qualche esempio, e più si va indietro nel tempo, più emerge "l'arte di arrangiarsi" di chi abitava le frazioni dell'Alta Valle Scrivia in tempi meno opulenti dei nostri, quando la crema del latte sostituiva l'olio, e prezzemolo, spinaci o borragine bolliti soccorrevano la scarsa quantità di basilico disponibile.
Attualmente i ristoratori soddisfano una clientela "cittadina" e moderna, che chiede sì piatti genuini e "del posto", ma che va conquistata con ricette elaborate, nei quali l'"antico" e il "locale" si innestano in proposte raffinate: ecco allora le castagne nel dolce Montebianco o nella Bavarese, la mostardella nel risotto (uno dei piatti forti de "Il Caminetto"), i funghi come ripieno nelle foglie di castagno o gustoso accompagnamento di arrosti, il fagiano cucinato con aceto balsamico (alla "Locanda dei cacciatori"). Nelle osterie del tempo di guerra, ma anche dopo, si serviva "tanto stufato di capra con la polenta, la zuppa con le trippe, i taglierini e il minestrone" (testimonia un'anziana ex ristoratrice della Valbrevenna, che ancora li cucina per la sua famiglia, spesso sulla stufa). Comune ai ristoratori di ieri e di oggi è l'offerta, molto apprezzata dai commensali, di trofie de castagna, servite con pesto rigorosamente di solo basilico! Note solo agli informatori più anziani, infine, alcune preparazioni nell'ambito della farmacopea, che abbiamo voluto segnalare, anche se non sono propriamente ricette in quanto parte del patrimonio di conoscenze locali: semplici rimedi per il mal di denti, per i sintomi influenzali, o utili come lassativi.


Riferimenti

Alcune delle ricette riportate sono disponibili in trascrizione e in viva voce (formato MP3)

Bibliografia

Riferimenti bibliografici (dalla ricerca Guida alla scoperta dei prodotti locali, cfr. nota [3]).


[1] Soprattutto se si fa una valutazione a partire dal 1980 ad oggi
[2] Anche se i ristoratori lamentano un minor numero di automobilisti transitanti per Creto, e suggeriscono una miglior segnalazione della località nella zona della Doria, a Genova.
[3] Charta - servizi e sistemi per il territorio e la storia ambientale s.r.l., Comuni montani dell'Alta Valle Scrivia (Crocefieschi, Montoggio, Valbrevenna, Vobbia). Guida alla scoperta dei prodotti locali, Comunità Montana Alta Valle Scrivia - Erga; progetto finanziato con fondi Regione Liguria-UE Ob. 5B, sottoprogr. 4, Mis. 2, "Miglioramento e promozione delle produzioni agricole locali", Studio "Prodotti di montagna dell'Alta Valle Scrivia", Genova 2000.