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Alcuni risultati


I dati raccolti evidenziano la ricchezza e la variabilità dei piatti, dei prodotti locali e soprattutto delle cultivar, tanto più in una valle come quella del torrente Recco già da tempo densamente abitata da "foresti".

Ne sono un esempio le varietà di ricette del pesto (14).

Focaccia col formaggio

La focaccia col formaggio, piatto "principe" di Recco, in base a quanto emerso dalle interviste e già dalla bibliografia locale, era preparata storicamente - e in alcuni casi, come a Arbora e a Vescìna, lo è ancora - con la formaggetta fresca (furmagétta) di latte vaccino prodotta nella valle. Il legame diretto con le pratiche dell'allevamento bovino, dello sfalcio, della cura dell'uliveto, pone interessanti domande anche sugli effetti ambientali prodotti dal perdurare sino ad oggi di tali pratiche.

E' emersa - come del resto per tutte le ricette raccolte - una certa variabilità negli ingredienti di base (che comprendono solo formaggetta, oppure formaggetta e prescinsòa) e anche nelle tecniche di cottura (dall'émbrexu al runfò e al forno a legna) e soprattutto è emerso il legame della focaccia col formaggio con l'area costiera: nelle frazioni più alte sarebbe "arrivata" solo recentemente.

I latticini

La prescinsòa viene ancora prodotta a livello famigliare in alcune frazioni del Comune di Avegno (Arbora, Vescìna) di Recco (Cotù) e Uscio (località Borissa e Banchi): continua a trovare in tutta la valle larghissimo impiego nella cucina locale (viene utilizzata nella preparazione del pesto, dei ripieni, della torta di riso e delle altre torte salate, del polpettone di patata, dei ravioli).

Correlata alla produzione di formaggio e quagliata, oltre che di burro e ricotta, è la pratica - ancora attiva a Vescìna e nel quartiere di Uscio denominato Borissa - di "tenere" stagionalmente stabulate le mucche di proprietari delle alte valli Trebbia e Aveto e restituirle "ingrassate" dopo averne utilizzato il latte (soprattutto per la produzione di prescinsòa). Tale pratica - che richiede aree per la fienagione - potrebbe essere analoga a quella già nota per le pecore (cfr. Moreno, 1990).

Ancora tutte da ricercare sono invece le relazioni storiche che hanno portato il "formaggio di Brà" a Colle Caprile e nella valle di Recco: una segnalazione raccolta a Calcinara si riferisce alla preparazione del pesto con l'aggiunta di formaggio di Brà; anche a Recco è ancora vivo il ricordo del "furmàggiu de Brà" e il suo utilizzo, fino agli anni '40, come formaggio stagionato al posto del formaggio grana.

Alcune testimonianze raccolte descrivono, oltre alla produzione di formaggetta fresca, anche quella di formaggio stagionato, oggi probabilmente estinta nella valle ma ancora attiva fino all'inizio degli anni '90 a Terrile. In questa frazione il formaggio migliore era considerato quello di maggio (d'inverno era più amaro) e si poteva seccare per "fare i cilli perché i cilli vengono solo nel formaggio grasso e nella stagione più calda". Le formaggette si facevano seccare su una tavola detta "bégu" all'interno di una stanza e si salavano una sola volta. Dopo 5-6 mesi le formaggette ormai stagionate venivano conservate dentro una giara di olio per circa un anno, quando erano pronte per essere grattate.

Meriterebbe un approfondimento storico il sistema di cooperazione tra i produttori per la raccolta e il trasporto del latte a Genova, Recco, Camogli, Sori, S. Margherita e Rapallo per la vendita e fornitura al pubblico. Ad Avegno esisteva intorno agli anni '30 uno stabilimento per la pastorizzazione e la lavorazione del latte (cfr L. Gravina, 1934); una testimonianza orale segnala il primo sistema di raccolta già nei primi anni del '900 a Borissa (Uscio) ad opera degli Staggèn. Questi sistemi di organizzazione sembrano essersi verificati in corrispondenza dei periodi di maggior produzione di latte nella valle (inizi del '900 e anni '5O-55).

Diverse focacce

Strettamente correlata alla coltivazione dell'oliveto è la grande varietà di focacce - 21 segnalazioni - (focaccia con la cipolla, focaccia con le polpe d'oliva, fugàssa de pàn, fugàssa de granùn) che ancora oggi rientrano nell'alimentazione quotidiana dei residenti nei tre Comuni della valle: fino agli anni '50 nei Comuni di Recco e Avegno venivano cotte sull'émbrexu secondo una modalità che ne permetteva la resa migliore, a quanto ricordano tutti gli intervistati. La focaccia di castagna - fugàssa matta - è ancora abbastanza diffusa nei Comuni di Avegno e Uscio; solo nel Comune di Uscio (quartiere Borissa) viene ancora preparata la fugàssa cu ù crescente; il "crescente" però viene ancora utilizzato ad esempio a Gaggianego (frazione di Recco) nella preparazione del panettone di Natale.

Praebuggiùn

Un altro esempio locale molto interessante che si colloca all'interno degli spazi sopracitati, è il praebuggiùn termine che indica sia il prodotto della raccolta di una dozzina di erbe spontanee ("fare il praebuggiùn"), sia la loro preparazione tramite bollitura e condimento. Il praebuggiùn è anche l'ingrediente di base nella preparazione di pansoti, frittate, torte di verdura, "turtelli". Le varie osservazioni effettuate nel corso delle interviste agli informatori mostrano una elevata varietà inerente sia l'ambiente di raccolta (fasce nell'uliveto, prati da fieno), sia le specie vegetali utilizzate, sia la terminologia dialettale relativa alle diverse specie. Ad esempio nel caso rilevato a Cotù le specie raccolte sono 14, di cui 6 (buràscia dumèstega, buràscia sarvèga, petùsse, ortìga, fenùggiu) non rientrano nell'elenco fornito da una ricerca precedente svolta nella valletta di Arbora - Avegno (Poggi, 1997); anche a Polanesi (ma in questo caso non c'è stata l'osservazione di terreno) le specie raccolte e utilizzate presentano una certa variabilità rispetto ai casi rilevati di Cotù e Arbora (ad esempio vengono raccolte anche scassadiàu e lusciàndri). Nell'alta valle, ad esempio a Terrile, il numero di erbe utilizzate diminuisce a circa 10 e varia con le stagioni: nel mese di gennaio viene aggiunta una foglia degli immancabili nauìn.

Da rilevare che la pratica della raccolta del praebuggiùn nella valletta di Arbora è stata oggetto di studio all'interno di una ricerca sui prodotti locali finanziata dalla CEE e condotta dal Polo Etnobotanica e Storia dell'Università di Genova negli anni 1994-1998. Utilizzando il metodo dell'ecologia storica, tra gli altri risultati ottenuti, sono stati anche verificati gli effetti ambientali positivi determinati dall'esercizio di questa pratica (e di altre ad essa collegate) in termini di conservazione di aree aperte ad elevata diversità floristica e ricchezza di specie rare.

Altre pratiche, altri prodotti

Altri esempi a cui rimandano alcuni piatti e prodotti raccolti - che sarebbe interessante approfondire in una ulteriore fase della ricerca - sono la pratica diffusa di raccolta delle lumache, legata a siti specifici e a stagioni particolari oltre che alla gestione degli spazi, la raccolta dei funghi (fùnsi néigri, fùnsi biùndi, bulòi, bàie) - legata oltre che a siti e stagioni specifici anche alla gestione del bosco, e la cattura delle anguille nel torrente con le varie tecniche di pesca (ad esempio con il mùsau), ora in fase di abbandono.

Frutta e orti

Un cenno particolare meritano gli "orti" di Recco di cui sono rimasti solo piccoli lembi a San Rocco residui di una ben più importante economia che si evidenziava nel mercato locale e nelle varie forme di commercio.

Riportano le fonti orali, ad esempio, che agli "orti" di Recco venivano ad approvigionarsi di melanzane il 14 agosto gli abitanti di Terrile per la prepararazione delle melanzane ripiene per la sagra di San Rocco (16 agosto).

Numerosissime sono le varietà locali di frutta censite (soprattutto fichi - 22 segnalazioni - ancora molto diffusi nel Comune di Recco e di Avegno, e prugne - 23 segnalazioni); peculiari sono anche i loro sistemi di conservazione: ad esempio, per quanto riguarda i fichi, nel Comune di Recco (frazioni di Megli e Cotù) si raccoglievano le aamète o amaétte ad agosto -settembre e si mettevano a seccare sulla grè (fatta di canne degli orti); alla sera si mettevano gli "squasi" (frasche di castagno) a causa della "rusè"; dopo 3-4 giorni circa le amaétte secche si mettevano nei cassùn con l'alloro tra uno strato e l'altro; quando erano pronte per essere mangiate facevano una ràscia bianca, generalmente intorno a San Martino.

la preparazione di marmellate e, soprattutto, la preparazione di sciroppi e liquori che mostra una particolare diffusione e varietà nelle frazioni "reccheline" di Megli e di Polanesi (limoncino, mandarinetto, arancino, amarena, "latte di vecchia", nocino, "cherry").

Tra le varietà locali "antiche" di frutta sono emerse le prugne séisce brignùn-ne e franchìn, l'uva barbarùssa, le mele sansàne, le pere

e tra gli ortaggi i fagioli pelandruìn, còi, meisàn-ne, nauìn,

Le castagne

La grande quantità di piatti a base di castagne (troffie matte/mès-cie, batolli, pulentùn, pulénta de castàgna, frisciò, panélla, rìsu castàgne e lète, ecc.) riflette la grande importanza delle pratiche devolute al castagneto da frutto nella valle fino all'ultima guerra, castagneti che in seguito sono in gran parte stati convertiti in prati da fieno (o talvolta in uliveti), come è accaduto ad esempio al castagneto da frutto presente nella valletta di Arbora in località Chiappetta fino agli anni 1940 (cfr Poggi, 1997) e poi convertito in prato sfalciabile, e ancora al castagneto da frutto denominato "u bòscu grande" presente sulla collina di Liceto a Recco fino all'ultima guerra. Ancora oggi, tuttavia, rimangono numerose le varietà di castagne presenti nella valle e, in particolare, nella parte alta dove sono state raccolte 18 segnalazioni a Uscio e 9 ad Avegno. Ogni varietà di castagna aveva un utilizzo particolare e anche un'ecologia particolare (ad esempio le nigrisciòe vengono considerate le migliori per la preparazione delle rustìe e delle piè, le otagìn-ne, piccole e sane, crescono bene anche nei terreni secchi e più ripidi, la puseàsca è una castagna fìn-na ma esigente e per questo si trova solo nel fondovalle, il purté veniva utilizzata per il ricavo della farina, la petàcca è quella considerata meno buona, ecc.). Un particolare sistema di conservazione a Terrile era u rissà che veniva utilizzato per le sole nigrisciòe e russaìn: era un cumulo di foglie e ricci deposti in un angolo e contenuto tra due pezzi di legno dove venivano messe anche alcune castagne.

Piatti, prodotti, stagioni

Una curiosità sul pesto: esiste una forte variabilità sugli ingredienti di base in relazione alla stagione e all'areale. Durante l'inverno infatti veniva e viene tuttora preparato il cosiddetto "pesto di inverno" fatto con il prezzemolo e le bietole e, talvolta come a Megli, con l'aggiunta di "persa". Ma nelle frazioni più alte pare che fino al dopo guerra il pesto più diffuso fosse preparato con il prezzemolo tutto l'anno, probabilmente in connessione con la sua elevata produzione finalizzata alla commercializzazione al di fuori della valle. Fino agli anni 1947-50 infatti il prezzemolo era il prodotto più commercializzato dai paesi dell'alta valle. Le prime foglie del prezzemolo venivano raccolte a novembre (si fugiàva); a gennaio si raccoglievano le foglie e si tagliava la pianta (si custegiàva) lasciando solo gli scassi. I mazzetti così preparati venivano acquistati dai grossisti (i careghè, i binélli,) che li incestavano e li spedivano a Milano mettendoli a bagno in appositi recipienti. Le piante che non venivano vendute si conservavano per la semenza. Nel mese di luglio la pianta veniva tagliata, seccata e frafuggiàta.

Da dove viene?

Se le famose trofie di Recco vengono "rivendicate" dalle frazioni di Avegno (Testana, Vescina, ecc.), i pansoti sarebbero originari - a quanto sostengono gli informatori di Polanesi - di Sant'Apollinare: si facevano per San Giuseppe, che cade sempre in Quaresima, e per questo si facevano magri....


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